22/09/2025 - SUPERMINIMO RIDUCIBILE CON CONSENSO TACITO
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, con ordinanza n. 22.767 datata 6 agosto 2025 (ud. 22 maggio 2025), ha deciso sul ricorso proposto da un lavoratore, già impiegato direttivo, che aveva ottenuto in primo grado un riconoscimento parziale di differenze retributive. La Corte d’Appello di Ancona, accogliendo l'appello della società, aveva invece ritenuto valida la riduzione del superminimo operata dal datore di lavoro. Il lavoratore in questione ha quindi proposto ricorso per Cassazione, articolato in due motivi. La questione principale riguarda la possibilità di ridurre in modo unilaterale o tramite comportamento tacito il superminimo individuale, elemento accessorio della retribuzione. La sua rilevanza discende dal rapporto tra il principio di irriducibilità della retribuzione ex art. 2103 c.c. e la disponibilità del superminimo da parte delle parti. È stato discusso se il silenzio o la tolleranza del lavoratore rispetto alla decurtazione possano costituire valido consenso alla riduzione retributiva, cioè quale sia il l'equilibrio tra libertà contrattuale e tutela del lavoratore contro rinunce non espresse in forme garantite. La Corte ha richiamato la giurisprudenza storica (Cass. 5655/1985), la quale ammetteva la disponibilità del superminimo individuale, ma ha evidenziato il progressivo rafforzamento del principio di irriducibilità della retribuzione (Cass. 22041/2023; Cass. 26320/2024). Pur chiarendo che la riduzione consensuale è possibile solo in sedi protette ex art. 2113 c.c., la Cassazione ha ritenuto che nel caso concreto le doglianze del ricorrente non riguardassero la natura del superminimo, bensì la possibilità di desumere il consenso dal comportamento. La Corte d’Appello aveva concluso per tale motivo che la sottoscrizione della raccomandata del 2009 e l'accettazione protratta della riduzione per sette anni, integrassero una rinuncia per facta concludentia. Il ricorso aveva lo scopo, in sostanza, di ottenere una diversa valutazione dei fatti e delle prove, inammissibile in sede di legittimità. La Cassazione ha quindi confermato che non spetta al giudice di legittimità sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, salvo violazione manifesta delle regole ermeneutiche o di riparto dell’onere probatorio, qui non ravvisate. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il lavoratore al pagamento delle spese di lite (3.500 euro per compensi, 200 euro per esborsi, oltre accessori). È stato inoltre disposto l’obbligo per il ricorrente di versare l’ulteriore contributo unificato previsto dall’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002. La decisione ribadisce che il superminimo, pur non essendo parte del minimo inderogabile, non può essere ridotto unilateralmente. La Corte sottolinea però anche la possibilità di valorizzare elementi indiziari e comportamenti concludenti per accertare l’accettazione di una riduzione, da parte del giudice di merito. Sul piano pratico, la sentenza rafforza l’importanza per i datori di lavoro di formalizzare ogni accordo di modifica retributiva in sedi protette, al fine di prevenire contestazioni. Per i lavoratori, emerge l’onere di manifestare tempestivamente il dissenso a eventuali riduzioni per evitare che il silenzio o la tolleranza siano interpretati come accettazione. La pronuncia potrebbe incidere su futuri contenziosi in materia di rinunce tacite e patti peggiorativi della retribuzione.