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17/09/2025 - LEGGE 104 E ASSISTENZA FUORI ORARIO

Con l’ordinanza n. 23.185 datata 12 agosto 2025, la Suprema Corte afferma a seguito di in un procedimento disciplinare collegato all'uso dei permessi anche se viene dimostrato che in orario di lavoro il lavoratore non stava fornendo assistenza, al datore la normativa assegna un preciso e rigoroso onere probatorio. Nel caso specifico quindi la legittimità del licenziamento viene negata. La vicenda trae origine dal licenziamento di un dipendente che usufruiva dei permessi previsti dalla Legge 104/1992, art. 33, comma 3, per assistere un familiare invalido. L’azienda aveva contestato al lavoratore un uso improprio dei permessi, ritenendo che durante le giornate di assenza non si fosse dedicato all’attività di cura, ma nell'orario di lavoro fosse stato visto in spiaggia con il figlio. Le appena citate circostanze erano state riportate in una relazione investigativa, mai formalmente prodotta in giudizio. Il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto legittimo il licenziamento. Successivamente però, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, annullando così il recesso e ordinando la reintegrazione del dipendente, con corresponsione dell’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto, fino a un massimo di dodici mensilità. Secondo i giudici, non era stata fornita prova sufficiente della mancata assistenza: non si poteva escludere che il lavoratore prestasse cure al familiare in orari diversi da quelli documentati, ad esempio durante la sera o la notte. L’azienda ha proposto ricorso per Cassazione, articolando quattro motivi, quì elencati: la presunta violazione della normativa sui permessi, l’errata valutazione dell’onere della prova, la mancata applicazione dell’art. 2119 c.c. in materia di giusta causa, e l’errata interpretazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.  La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del datore di lavoro chiarendo che, in materia di permessi ex Legge 104, l’onere della prova dell’abuso o dell’uso fraudolento grava sul datore di lavoro. Per tale motivo, qualora un licenziamento si fonda sull’accusa di utilizzo scorretto, è l’azienda che ha il dovere di dimostrare in modo rigoroso l’assenza di assistenza. La Cassazione ha inoltre fatto notare come l’assistenza al familiare invalido non debba necessariamente coincidere con l’orario lavorativo. Il diritto riconosciuto dalla legge non prevede una limitazione temporale talmente rigida, perciò il lavoratore può prestare supporto anche in ore serali o notturne, soprattutto se le condizioni mediche del familiare lo richiedono. Nel caso in questione, la Corte territoriale aveva già rilevato, sulla base di testimonianze, che l’assistenza fosse effettivamente garantita in tali fasce orarie. Di conseguenza, la decisione di reintegra è stata ritenuta corretta e conforme alla normativa. La pronuncia offre importanti chiarimenti operativi sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. Sul piano aziendale, emerge la necessità di valutare con estrema cautela eventuali contestazioni disciplinari relative all’uso dei permessi. Senza elementi probatori certi e documentati, un licenziamento rischia infatti di essere dichiarato illegittimo, con conseguente obbligo di reintegrazione e di corresponsione delle indennità. Per i lavoratori, la sentenza conferma che i permessi previsti dalla Legge 104 possono essere utilizzati in modo abbastanza flessibile, in funzione delle effettive esigenze di assistenza. Non è necessario dimostrare di essere con il familiare nell’esatto orario in cui si sarebbe dovuto lavorare. Ciò che rileva è la sostanziale prestazione di cura, adeguata e continuativa, in base alle condizioni dell’assistito. La Corte ha inoltre disposto la condanna del datore al pagamento delle spese processuali, ed è stato  applicato il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, DPR 115/2002.