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15/05/2025 - LICENZIAMENTO E COMPORTO

Il periodo di comporto è il tempo limite durante il quale il lavoratore assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto. Superato l'appena descritto periodo, il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento. Il riferimento normativo è l’articolo 2.110 del Codice Civile, ma le concrete modalità applicative (così come la durata del comporto o eventuali obblighi di comunicazione) sono spesso stabilite dai contratti collettivi. Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 12.293 del 9 maggio 2025, la questione centrale riguarda l'interpretazione di una clausola del CCNL Industria Calzature e le conseguenze della sua violazione nel contesto di un licenziamento per superamento del comporto.  La società in questione aveva licenziato un dipendente dopo il superamento del periodo massimo di comporto previsto dal contratto collettivo, fissato a 13 mesi di assenza nel triennio. Tuttavia, il CCNL applicabile  (all’art. 58, lett. B)  impone al datore l’obbligo di informare il lavoratore almeno un mese prima della scadenza di tale periodo. Nel caso concreto, tale comunicazione era stata omessa o effettuata tardivamente, bensì dopo la scadenza del comporto.  La Corte d’Appello di Venezia aveva già riconosciuto l’illegittimità del licenziamento, e la Cassazione ha confermato l’interpretazione, sottolineando che l’avviso deve precedere la scadenza per essere considerato valido. La Corte ha infatti confermato che la funzione della comunicazione prevista dal contratto collettivo non è meramente informativa, ma ha altresì natura sostanziale, serve infatti a mettere il lavoratore nella condizione di valutare soluzioni alternative, come il ricorso a ferie residue o aspettativa, e a tutelare il proprio rapporto di lavoro.  Una comunicazione tardiva, come nel caso sotto esame, equivale a una mancata comunicazione, vanificando la funzione garantista della norma contrattuale.  Ne consegue che il rispetto del termine è quindi essenziale. Il contratto collettivo, in questo caso, non solo disciplina la durata del comporto, ma impone una procedura a tutela del lavoratore, che condiziona la legittimità del recesso datoriale. L’omissione o il ritardo sono da considerarsi violazioni gravi, con impatto diretto sulla validità del licenziamento.  La Cassazione ha respinto la tesi della società sche sosteneva che la finalità della norma fosse puramente contabile, ossia permettere al lavoratore di verificare la correttezza dei conteggi sulle assenze. Ha invece valorizzato la ratio garantista della previsione pattizia, che deve essere rispettata per intero, non solo nella forma ma anche nei tempi.  Un altro aspetto che va evidenziato all'interno della sentenza è il fatto che, pur  riconoscendo l’illegittimità del licenziamento, il lavoratore non aveva impugnato la decisione nella parte relativa alla tipologia di tutela applicabile. La Corte ha quindi confermato la condanna al pagamento di una indennità pari a 20 mensilità, senza disporre la reintegrazione nel posto di lavoro. Questo passaggio evidenzia un aspetto procedurale rilevante: l’ampiezza della tutela applicabile dipende anche dalle impugnazioni proposte. In assenza di un ricorso incidentale specifico da parte del lavoratore, resta ferma la pronuncia di secondo grado, che aveva optato per la tutela indennitaria.